11 settembre

11 settembre, il secondo attacco. Immagine di dominio pubblico.

Pare che chiunque sappia dove si trovava l’11 settembre 2001, anche tu.
Io ero al dipartimento di Scienze Antropologiche, Archeologiche e Storico Territoriali dell’Università di Torino. Non ricordo cosa stessi facendo, forse mi stavo iscrivendo a un appello, forse cercavo testi universitari. Ero con un’amica, Elena, in un corridoio deserto del primo piano. Da uno studio si sentiva un chiacchiericcio concitato di radio. Un’assistente ne uscì dicendo “è incredibile, èincredibile!”. “È incredibile cosa?”. “Ma come, non lo sapete? Stanno attaccando l’America!”.
Subito ricevetti una chiamata da Nicola, un coinquilino: “ovunque tu sia, incollati alla tv: stanno tirando giù grattacieli a New York”. Entrammo nello studio dell’assistente e alla radio sentimmo che una delle Torri Gemelle era implosa, l’altra in fumo, entrambe colpite da aerei di linea. George W. Bush era al sicuro sull’Air Force One. C’era un incendio al Pentagono. Accompagnai Elena verso la stazione e mi fiondai a casa. Accesi la televisione e ci rimasi incollato per ore, come tutti, il cellulare bollente in mano.
La superpotenza globale attaccata sul suo territorio dopo sessant’anni. Colpita nel cuore pulsante della sua economia, negli edifici simbolo. Immagini incredibili di aerei che si infilavano in una nube di fiamme fra gli uffici del World Trade Center. Omini che si gettavano a capofitto dalle finestre, resi pazzi dal fumo e dal calore. Le torri che si sgretolavano diventando polvere.
Il mondo era cambiato. Da lì a breve fu chiaro che si trattava di un attentato terroristico, spettacolare e altamente televisivo. Fu immediatamente additato il responsabile e cominciò la caccia all’uomo. Miliardi di dollari spesi, due guerre massacranti e una spirale di attentati insanguinarono il decennio successivo. A tutti è servito il terrore, con il suo corollario di leggi speciali, controlli assurdi negli aeroporti e dubbi. Teorie del complotto, strategie da neo-imperialismo, otto anni di governo statunitense che si reggevano esclusivamente sulle macerie fumanti di Ground Zero e un mondo più insicuro.

Ground Zero il 17 settembre 2001. Immagine di dominio pubblico.

Ricordo Vespa quella sera, nello studio di Porta a Porta con i modellini delle torri e un ingegnere che facendo battute e ridendo spiegava com’era stata possibile la loro implosione. Ricordo qualcuno che sosteneva come l’America se la fosse cercata, e in un certo modo meritata. Ricordo tutte quelle chiacchiere insulse sull’islam preso in un blocco unico, un mondo cattivo antilibertario, sanguinoso, medievale, un mondo da rendere democratico a furia di bombe intelligenti e caccia stealth. Ricordo cose folkloristiche come pseudo attentati batteriologici via posta, mullah che fuggono sui monti afghani in sella a motociclette, uomini barbuti nascosti in caverne, presidenti che giurano vendetta abbracciati a pompieri, casus belli costruiti a tavolino da servizi di intelligence internazionali, diapositive di camion irakeni lanciamissili mostrati nel Palazzo di Vetro, striscioni con la prematura scritta “Mission accomplished” appesi a portaerei, dittatori impiccati e bombe azionate da telefonini.
Dopo l’11 settembre il mondo è veramente cambiato. Sono crollati regimi, sono saliti alla ribalta personaggi incredibili come Zapatero e Obama, sono morte migliaia di persone e l’odio ha avuto nuova linfa. L’11 settembre 2001 è l’inizo del nuovo millennio, e tutti noi sappiamo esattamente dov’eravamo.

Questo articolo è stato scritto per Nulla Dies Sine Linea.

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