Pericolosi eserciti paramilitari contro le forze del Bene

Il rapporto della Digos parla di strategia militare. Di un manoscritto ritrovato che illustra tattiche di attacco. Di gruppi paramilitari schierati contro le forze dell’ordine. Di un piano d’azione che avrebbe preordinato l’assedio al cantiere della Maddalena, Val di Susa.

Omaggio a Pellizza da Volpedo. Gec, Val di Susa, 2011.

I fatti: la notte del 24 maggio 2011 i No Tav occupano il cantiere dell’alta velocità in Val Clarea, impedendo l’inizio dei lavori e fondando la Libera Repubblica della Maddalena. Il 27 giugno l’attacco delle forze dell’ordine scioglie l’assembramento difensivo. Il 3 luglio i No Tav si rifanno sotto assediando inutilmente il sito.
Secondo il documento, i manifestanti avrebbero pianificato strategicamente la difesa e l’attacco del sito di Chiomonte, organizzando barriere di filo spinato, tronchi e massi e armandosi di fionde, catapulte (?), laser (sì: laser, come in Guerre Stellari), caschi, scudi, guanti, maschere, limoni e Maalox (contro nausea e bruciore agli occhi da lancio di lacrimogeni).
Questo pericolosissimo esercito paramilitare avrebbe ferito negli scontri duecento agenti, ne avrebbe sequestrato uno per quindici minuti (sottraendogli la pistola d’ordinanza, poi restituita alla Polizia) minacciando che il prossimo non sarebbe tornato indietro.
A sei-sette mesi di distanza ecco gli arresti: 26 fra anarco-insurrezionalisti, membri di centri sociali, politici (Andrea Vitali, Rifondazione) e vecchietti ex Br (Paolo Ferrari, uscito dal carcere nel 2004 dopo 30 anni di reclusione) accusati di reati vari, fra cui associazione per delinquere, aggressione alle forze dell’ordine, danneggiamento, taglio di recinzioni, minacce e intimidazioni. Pescati in Piemonte, ma anche in altre parti d’Italia. Riconosciuti grazie alle fotografie scattate durante i fatti, fotografie in cui non sempre il volto sarebbe riconoscibile, ma per le quali l’identificazione sarebbe stata possibile grazie ad alcuni particolari, come i capi d’abbigliamento indossati.
Bene, a quanto pare ci troviamo di fronte a un esercito con un piano ben stabilito. Un esercito organizzato e costituito da soldati selezionati in tutta Italia, e non solo. Truppe d’élite? Naturalmente quelli che i media continuano da Genova 2001 a chiamare i black bloc (il black bloc è il nome di una tattica che è passato a indicare un gruppo di individui che la utilizzano, e non i singoli membri di quel gruppo, ma faglielo capire). Addirittura in questo caso inquirenti e media si sbizzariscono: gli eventi di quei giorni vengono riletti non più in chiave di azioni di protesta, bensì in azioni di allenamento, di addestramento per antagonisti e gruppi paramilitari che poi si sarebbero rifatti vivi a Roma questo autunno.
Ma non ci si ferma qui: i media, da La Repubblica a Il Fatto Quotidiano, passano all’attacco. Nonostante qualche breve accenno, a onor della cronaca fatto anche dagli inquirenti, sulla necessità di separare una protesta pacifica legittima da una violenta illegittima, prendono lo slancio dalle accuse per sottolineare la trasmigrazione alla lotta del pacifismo di cui si è sempre vantato il movimento No Tav.

Val di Susa, 27 giugno 2011. Foto di Cau Napoli, licenza CC 2.0

La Repubblica arriva a sostenere che la presenza di violenti, ex terroristi e black block (sic, e arridaie!) non poteva non essere notata dal movimento, e che quindi questo avallasse il loro operato. “Che cosa ci facevano 22 stranieri, nel senso di non valligiani, nel branco a volto coperto che ha dato l’assalto al cantiere? Perché erano saliti in valle in quei due giorni?” si chiede La Repubblica, come se la protesta contro l’alta velocità fosse di competenza esclusiva dei valsusini, come se la costruzione di un’opera di questo tipo non sia di interesse nazionale, ma solo locale.
Ci saranno le indagini a stabilire se queste 26 persone hanno commesso reati. La protesta pacifica e legittima dovrà difendersi da questi attacchi con cui Stato e media, sfruttando gli scontri di Chiomonte, cercano di destabilizzare il movimento No Tav nei confronti dell’opinione pubblica. Il tentativo è chiaro: macchiare un intero movimento nato più di due decenni fa, sporcarlo, rappresentarlo come un’accolita di montagnini, anarchici e terroristi rancorosi e violenti, nemici giurati delle istituzioni prima ancora che di un progetto faraonico la cui utilità è altamente discutibile.
A sarà dura!

Questo articolo è stato scritto per Nulla Dies Sine Linea.

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