Lo scorso anno ho partecipato al concorso letterario Giallo di Romagna. Il regolamento poneva dei paletti stretti: racconto breve, ambientato a Bagnara e di genere giallo. Il tema? Uno di quelli caldi nel corso del 2013: la violenza sulle donne e il femminicidio. Il risultato è stato La bestia, e ha vinto il secondo premio.
Per scriverlo mi sono dovuto documentare, e non solo curiosando fra campi e paesini della piana romagnola con Google Street View, ma anche studiando i dati presentati dall’Onu in un rapporto del gennaio 2012 sulla violenza contro le donne in Italia (qui il pdf in inglese). E i dati parlano tanto chiaro che lo stesso Parlamento è intervenuto ratificando a ottobre 2013 un decreto legge (molto discusso) sul femminicidio, arrivando a inasprire le pene quando la violenza è commessa contro una donna con cui si ha una relazione, e non soltanto se si convive o se si è sposati con essa (v. questo articolo). Insomma, un grande passo avanti per un paese che fino al 1981 aveva nel suo Codice Penale un articolo, il 587, che delineava un delitto d’onore con pene più blande rispetto a delitti con altri moventi:
Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella.
Il rapporto “Noi Italia 2014” dell’Istat, da poco uscito, fotografa al 2012 la casistica delle vittime di omicidio. Rispetto al 1992, i delitti sono diminuiti (0,89 ogni centomila abitanti, nel 2002 invece erano 1,13). Ma le vittime femminili rimangono costanti: 0,5 ogni centomila donne. Le vittime maschili sono invece passate da 4,4 del 1992 a 1,28 ogni centomila uomini. Insomma, si uccidono molti meno maschi, mentre le vittime femmine sono sempre le stesse.
Ma i dati hanno un’altra grossa differenza dovuta al genere: mentre nel caso delle vittime maschili i colpevoli sono per lo più sconosciuti o non identificati (rispettivamente 33,4% e 45,4% dei casi nel 2012), la maggior parte delle donne viene uccisa da una persona da loro conosciuta (76,9% dei casi), e per ben il 46,3% dei casi l’omicida è un partner o ex-partner (38,5% nel 2002).
Cioè: in Italia, mentre la maggior parte degli omicidi maschili è opera di qualcuno sconosciuto alla vittima o di qualcuno mai scoperto, la maggior parte degli omicidi femminili ha un colpevole conosciuto dalla vittima e in un caso su due l’assassino è la persona con cui la donna ha o ha avuto un legame affettivo. E questi delitti sono in aumento.
Questi dati bastano di per sé a giustificare giuridicamente la distinzione del femminicidio rispetto all’omicidio: queste vittime sono state uccise in quanto donne. Se consideriamo che il delitto è solo la punta dell’iceberg della violenza contro la donna e che il problema non accenna a diminuire, la situazione nello stivale è ben grave. E non è colpa degli extracomunitari o degli zingari o dello stupratore dietro l’angolo.