Dovremmo essere tutti Charlie

RT_france_shooting3_ml_150107_16x9_992Siamo tutti Charlie. È banale, ed è sbagliato.

Dovremmo essere tutti Charlie. Continua a essere banale, ma è più corretto.

Come ci vuole la morte di un musicista perché tutti ne parlino (ogni riferimento ad artisti napoletani deceduti recentemente è intenzionale), così serve una strage in una redazione di un settimanale satirico perché si parli di libertà d’espressione. Soprattutto se è servita in salsa islamica, c’è qualche traballante filmato ripreso con un cellulare e si da il via alla caccia all’uomo.

Twitter e Facebook sono invasi da vignette di matite spezzate, giornali sventagliati, disegnatori in paradiso, temperini, gomme, kalashnikov, maometti, cristi, lapis-gemelli. Gli stati parlano tutti francese, bonjour je suis Charlie. Ci si scandalizza, si va contro al barbaro, si scende in piazza. Tutto bello e giusto. Ma sa di Pino Daniele.

Chi oggi fa il liberale su Facebook, ieri nemmeno sapeva che quella stessa libertà tanto difesa da post di rapina è sempre a rischio, e non per attacchi terroristi jihadisti, ma a causa di proposte di politici nostrani, come il disegno di legge 925b sulla diffamazione che presto tornerà alla camera. E cosa dice questa legge? Sostituisce al carcere un’ammenda fino a 50mila euro per chi si macchia di reato di diffamazione (non solo nel caso di testate giornalistiche registrate, ma anche di librisiti webblog), aggiungendo l’obbligo di cancellamento della notizia e della pubblicazione di una rettifica immediata e senza replica. Ovvero la morte per freelance, piccole testate e blogger.

nodiffamazioneUn attentato terrorista semina sangue, distruzione e morte. È orrore puro, violento, che si manifesta nel quotidiano. Ci tocca tutti, nel profondo umano. Naturalmente e banalmente, è da condannare. Ma l’attentato di Parigi non mina la libertà di espressione, non è in grado di farlo. E non perché la gente invade piazze e bacheche, ma in quanto non è una minaccia seria. Semplicemente non si possono ammazzare tutti i giornalisti, e nemmeno intimidirli a colpi di mitra. Ci vuole ben altro.

Come una legge. Una legge bavaglio. Qualcosa che li costringa ad autocensurarsi, a misurare i passi, a ritirare il dito accusatore contro il potere. Ci vuole la legge 925b. E rischiamo di averla per nostro disinteresse e nostra disattenzione.

Prendete un’altra carrozza. Sulla vostra sono saltati reazionari, leghisti, fascisti, bigotti, fondamentalisti cristiani, quelli che non vogliono togliere il crocifisso dalle aule, quotidiani destrorsi, giornalisti convertiti, i “niente velo” e xenofobi in ordine sparso. È trainata da cavalli schiumanti che soffiano nelle braci per far divampare il fuoco. È un carrozzone che trasuda odio ma sa di zucchero: quello della melassa che cola dalle bacheche social.

Per firmare l’appello contro il disegno di legge 925b:

http://nodiffamazione.it/

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Il destino dei Forconi

I Forconi non andranno lontano. Continueranno ancora per un po’ a bloccare le città e a ostacolare la viabilità, grideranno i loro comizi in qualche piazza, marceranno su Roma il 18 dicembre e assedieranno le istituzioni. Lo faranno per una settimana ancora, forse due. Ci sarà clamore, romperanno le scatole. Ma dopo la capitale, sarà caduta libera. Il comitato 9dicembre2013 imploderà, l’attenzione scemerà, la forza esplosiva si ridurrà. Non mangeranno il panettone.

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Forconi

Torino, Piazza Pitagora, lunedì 9 dicembre 2013: la rivoluzione mi blocca sulla via dell’aeroporto. Un uomo ci infila un volantino in macchina che nero su bianco recita basta con questo e basta con quello e fermiamoci e rivoltiamoci. Una picchettatrice ci rassicura sul fatto che ogni dieci minuti fanno scorrere il traffico. Un dimostrante ci urla che Caselle non la raggiungeremo mai: la tangenziale è bloccata, la superstrada è bloccata, l’aeroporto è bloccato. Studiamo un percorso alternativo, attendiamo con calma che i rivoluzionari ci lascino passare e scrutiamo lombrosianamente facce e abiti, che non è vero che non fanno il monaco.

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