Public enemy

Questo articolo è stato pubblicato dalla rivista web Nulla dies sine linea.

Obama durante una riunione operativa precedente alla missione contro Osama bin Laden, 1° maggio 2011. Immagine di dominio pubblico.

Vivo o morto. Morto.
Nove anni e mezzo di caccia, più un’altra decina precedenti all’11 Settembre. Il nemico pubblico numero uno degli States, ex alleato in chiave antisovietica, è stato preso. Ucciso. Giustiziato.
Quel gran cowboy di George Bush aveva giurato vendetta e Obama, premio nobel per la pace, l’ha servita, a freddo. Ci sono voluti una quindicina di Navy Seals per abbattere il mostro cattivo, carceri illegali con torture legalizzate, centinaia di arresti arbitrari, milioni di violazioni di diritti civili, un lavoro di intelligence planetario, bombardamenti di droni, due guerre e migliaia di civili annichiliti, maciullati, sventrati, cancellati. Ma alla fine

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Sexgate

Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Nulla dies sine linea.

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Bill Clinton, fotografia ufficiale della Casa Bianca. Immagine di dominio pubblico.

Il 26 gennaio 1998 il 42° presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, accompagnato dalla moglie, concluse una conferenza stampa alla Casa Bianca con queste parole:

“I want you to listen to me. I’m going to say this again: I did not have sexual relations with that woman, Miss Lewinsky. I never told anybody to lie, not a single time; never. These allegations are false. And I need to go back to work for the American people. Thank you.”

“Voglio che voi mi ascoltiate. Dirò questo una volta ancora: non ho avuto relazioni sessuali con quella donna, Miss Lewinsky. Non ho mai chiesto a nessuno di mentire, non una singola volta; mai. Queste accuse sono false. E devo tornare a lavorare per il popolo americano. Grazie.”

Il Sexgate era appena scoppiato. Pochi giorni prima, il 21 gennaio, il Washington Post aveva dato fuoco alle polveri pubblicando un’inchiesta del reporter Michael Isikoff basata su alcune conversazioni telefoniche avvenute fra Monica Lewinsky, una giovane stagista che lavorava presso la Casa Bianca, e la sua amica Linda Tripp, del Dipartimento della Difesa. In esse la Lewinsky raccontava alla confidente la

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La pattuglia dell’alba

James Ellroy sostiene di vivere come un eremita: oltre alla televisione, non possiede nemmeno il cellulare e il computer. Non legge i quotidiani, non legge libri. Crede che la lettura di altri autori, soprattutto contemporanei, possa risultare nefasta per la sua immaginazione. Nonostante ciò, pensa che Il potere del cane sia “il più grande romanzo sulla droga che sia mai stato scritto”. Vere o meno che siano le due affermazioni di Ellroy, quella sulla sua carriera di lettore e quella sul romanzo di Don Winslow, quello che è certo è che la seconda sia del tutto giustificata: Il potere del cane è un grande romanzo politico, storico, sociale e d’azione. È avvincente e impegnato, è un romanzo epico e corale. È la storia sporca e travagliata del rapporto fra Stati Uniti, Messico e narcotraffico.

Winslow è giunto in Italia da poco, e solo con gli ultimi tre libri scritti: Einaudi ha pubblicato nel 2008 L’inverno di Frankie Machine, a cui hanno fatto seguito nel 2009 Il potere del cane e nella primavera del 2010 La pattuglia dell’alba. Quest’ultimo è un romanzo godurioso, molto più simile a Frankie che al Potere, e rispetto al secondo difetta in epicità, pur rimanendo di alto livello.

La storia è ambientata in quel di San Diego, fra la sua battigia e  i punti di rottura delle onde e il residuo di territorio agricolo dell’entroterra non ancora cementificato. La vicenda è tipica del genere

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