Una bottiglia nello spazio

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La sonda americana Voyager 1 sta per uscire dal sistema solare e entrare nello spazio interstellare.
È la prima creazione dell’uomo ad abbandonare “casa”. È il manufatto più distante dalla Terra. A 35 anni dal suo lancio, continua a funzionare e a inviare dati alla NASA. Ma non è tutto qui: è anche un reperto archeologico dei tempi della guerra fredda.
Nell’articolo seguente, che scrissi per la rivista Nulla dies sine linea quattro anni fa, capirete perché.

Negli anni ’70 la NASA inaugurò il programma Voyager con l’intento di studiare i pianeti Giove e Saturno. Sfruttando un allineamento planetario vantaggioso, il 5 settembre 1977 fu lanciata da Cape Canaveral la sonda spaziale Voyager 1 preceduta, il 20 agosto, dalla sonda gemella Voyager 2.
Il 5 marzo del 1979 la Voyager 1 passò vicino a Giove, mentre il 12 novembre del 1980 fu il turno di Saturno, di cui furono studiate l’atmosfera, la composizione degli anelli e il satellite Titano. Proprio per avvicinarsi a quest’ultimo, l’orbita calcolata della sonda la fece allontanare dal piano dell’eclittica dirigendola verso i confini del sistema solare.
Intanto la Voyager 2, sfruttando un’orbita diversa e un allineamento planetario raro, raggiunse Giove qualche mese dopo la gemella e Saturno il 25 agosto del 1981 per poi proseguire il viaggio verso lo spazio interstellare passando per la prima e unica volta presso i pianeti Urano (1986) e Nettuno (1989).
Oltre alla mole di dati e di immagini dei pianeti inviate sulla Terra, le due sonde continuano a darci informazioni sul loro viaggio grazie alle batterie radioattive in dotazione che, usate con parsimonia, sono in grado di provvedere alle comunicazioni per altri dieci o venti anni. Destinate ad allontanarsi sempre più dal Sole e ad abbandonarne il sistema per lo spazio interstellare, la Voyager 1 fra 40.000 anni passerà a 1,6 anni luce dalla stella della costellazione dell’Ofiuco AC+793888, mentre la Voyager 2 tra 296.000 anni passerà a circa 4,3 anni luce dalla stella Sirio.

Il Voyager Golden Record, fotografia di dominio pubblico.
Il Voyager Golden Record, fotografia di dominio pubblico.

Le due sonde esploratrici, di cui la prima è attualmente il manufatto umano più distante dalla Terra, non sono solo una miniera di informazioni scientifiche ma, come bottiglie lanciate nello spazio, portano con loro un messaggio. Sono infatti dotate di una testina e di una puntina per leggere un disco di rame placcato in oro, il Voyager Golden Record, su cui furono registrate una serie di immagini e suoni scelti da una commissione guidata da Carl Sagan, allora astronomo e docente universitario presso la Cornell University, ma anche in seguito divulgatore scientifico e autore di romanzi di fantascienza. Destinato a una eventuale intelligenza extraterrestre che in un futuro remoto potrebbe imbattersi in una delle navicelle, o (più o meno probabile?) alla futura razza umana in grado di muoversi nello spazio a grande distanza, il disco reca una serie di diagrammi che, giustamente interpretati, renderebbero possibile a qualsiasi essere scientificamente evoluto di attivarlo e leggerlo.
Il contenuto comprende, oltre alle indicazioni sulla sua provenienza spaziale e temporale, 115 immagini in bianco e nero (dopo alcune critiche ricevute la NASA dovette togliere una fotografia di un uomo e una donna nudi), una varietà di suoni naturali (onde, vento, pioggia, tuoni, versi di animali, battito di cuore, riso…) e non (codice morse, treno, automobile ecc.), saluti in 55 lingue diverse (dall’antico e non più parlato accadico al dialetto cinese Wu) e una selezione musicale mondiale di 27 pezzi (dal jazz di Luis Armstrong alle percussioni senegalesi, dalla V Sinfonia di Beethoven al rock di Johnny B. Goode di Chuck Berry e oltre, con Johann Sebastian Bach rappresentato 3 volte e la “simbolica” Here Comes the Sun dei Beatles esclusa perché non concessa dalla casa discografica EMI).
Per quanto la scelta degli elementi inclusi possa esser criticata o considerata strana, davvero interessanti sono i due messaggi registrati dall’allora Segretario generale delle Nazioni Unite Kurt Waldheim e dal 39° presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter. Ecco il testo inciso da quest’ultimo:

Questa nave spaziale Voyager è stata costruita dagli Stati Uniti d’America. Siamo una comunità di 240 milioni di esseri umani tra oltre 4 miliardi di abitanti del pianeta Terra. Noi esseri umani siamo ancora divisi in nazioni, ma queste nazioni stanno rapidamente diventando una unica civiltà globale. Noi lanciamo questo messaggio nel cosmo. È probabile che continui ad esistere anche per un miliardo di anni nel nostro futuro, quando la nostra civiltà potrebbe essere profondamente cambiata e la superficie della Terra ampiamente modificata. Dei 200 miliardi di stelle nella galassia della Via Lattea, alcune -forse molte- potrebbero avere pianeti abitati e civiltà in grado di esplorare lo spazio. Se una di queste civiltà intercetta la Voyager e riesce a comprendere il contenuto di questa registrazione, ecco il nostro messaggio: “Questo è un regalo di un piccolo e distante pianeta, un frammento dei nostri suoni, della nostra scienza, delle nostre immagini, della nostra musica, dei nostri pensieri e sentimenti. Stiamo cercando di sopravvivere ai nostri tempi, ma potremmo farlo nei vostri. Noi speriamo un giorno, dopo aver risolto i problemi che stiamo affrontando, di congiungerci in una comunità di civiltà galattiche. Questa registrazione rappresenta la nostra speranza, la nostra determinazione e la nostra buona volontà in un vasto ed impressionante universo.

Jimmy Carter, 39° presidente degli Stati Uniti, immagine di dominio pubblico.
Jimmy Carter, 39° presidente degli Stati Uniti, fotografia di dominio pubblico.

Il messaggio, tipicamente americano, carico di speranza circa un futuro unito e pacifico non solo della razza umana, ma della vita universale, o almeno galattica, è piuttosto ottimista: le divisioni verranno superate e, soprattutto, noi ci saremo ancora.
A più di trent’anni di distanza i dubbi permangono, e la visione risulta infantile. Vero, il mondo diviso a blocchi è superato (almeno momentaneamente) e ci dicono che la minaccia nucleare è rinviata (fino a quando non si sa), ma l’ONU è in crisi, le guerre continuano a scoppiare, una civiltà globale e non globalizzante è tema da fantascienza e, quel che è peggio, lo stato di salute della Terra è quel che è, per cui davvero fra un miliardo di anni le sonde Voyager potrebbero sopravviverci e diventare un ritrovamento archeologico di una civiltà perduta.
Fortunatamente il rischio di una figuraccia intergalattica è remoto: le probabilità che una delle sonde venga trovata da qualcuno sono scarse in rapporto alla vastità dello spazio interstellare, e ciò potrebbe accadere soltanto in un futuro molto lontano.